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Il Toro NON è stato "tra i pochi a investire". Ecco perché.

In relazione alle recenti dichiarazioni del Presidente Cairo, vi proponiamo un'analisi delle spese e delle entrate granata nell'ultima sessione di Calciomercato, insieme a un confronto tra il monte ingaggi 2019/2020 e quello 2020/2021.

Il Toro è stato tra i pochi a investire”. Ce lo ha detto Cairo nelle scorse settimane, ce lo ha ripetuto Vagnati lunedì sera, quando la sessione estiva di calciomercato si era conclusa da pochi minuti. Come spesso accade il presidente, in prima persona o tramite i suoi collaboratori, ha offerto la sua personalissima visione delle cose magnificando l’operato della società (ricordate il voto 7 che diede poche settimane fa ai suoi 15 anni di gestione?): come altrettanto spesso accade, però, i fatti e i numeri lo smentiscono. Se la frase citata in apertura poteva corrispondere a verità nei primi giorni di mercato, quando il Toro aveva chiuso in pochi giorni gli arrivi di Rodriguez, Linetty e Vojvoda mentre la gran parte degli altri club di Serie A era ancora ferma, lo stesso non si può dire ora, a sessione conclusa. La cosa va detta chiaramente, senza girarci intorno: dire oggi che “Il Toro è stato tra i pochi a investire” significa dire una falsità.


A smentire Cairo e Vagnati, come detto, sono i numeri, oggettivi e incontrovertibili. Numeri che sono stati pubblicati nel dettaglio dalla Gazzetta dello Sport, sul numero uscito nelle edicole mercoledì 7 ottobre. Per le operazioni chiuse in questa sessione di calciomercato il Torino ha speso 18,6 milioni di euro: 3 milioni per l’acquisto di Ricardo Rodriguez dal Milan; 100 mila euro al Chievo per il controriscatto di Segre; 7,5 milioni (più 1,5 di bonus) alla Sampdoria per Linetty; 5,5 milioni allo Standard Liegi per Vojvoda; 1,5 milioni alla Sampdoria per il prestito di Bonazzoli (il riscatto obbligatorio, fissato a 8 milioni, scatterà al nono gol dell’attaccante in maglia granata); un milione alla Dinamo Zagabria per il prestito di Gojak (in questo caso le condizioni per rendere obbligatorio il riscatto, fissato a 4,5 milioni, dovrebbero essere più semplici: basterà il raggiungimento di 8 presenze da parte del bosniaco). Il totale, come detto, ammonta a 18,6 milioni di euro investiti: non possono essere considerati, per ora, gli eventuali riscatti di Bonazzoli e Gojak, come abbiamo visto subordinati a determinate condizioni, così come non vengono considerati i 20 milioni per il riscatto di Verdi, avvenuto quest’estate, ma legato ad un’operazione chiusa ad agosto 2019, quindi non decisa da Cairo e Vagnati in questa sessione.


Per quanto riguarda le entrate, il Toro ha incassato, sempre stando ai dati pubblicati dalla Gazzetta dello Sport, in totale 13 milioni di euro: 2,5 milioni dal Fulham per il riscatto di Ola Aina; 10,5 milioni (più 1,5 di eventuali bonus) dall’Athletic Bilbao per Berenguer. Anche in questo caso non viene considerata una somma incassata in estate, ma legata a un’operazione conclusa durante la stagione 2019-2020: gli 11 milioni di euro (fonte transfermarkt.it) che la Spal ha versato nelle casse granata per l’acquisizione di Kevin Bonifazi.


Il saldo totale della sessione estiva del Toro, quindi, è negativo per 5,6 milioni di euro.


A conti fatti, i dati pubblicati dalla rosea ci dicono che il Torino è l’undicesima squadra di Serie A per investimenti fatti durante questa sessione estiva di calciomercato: metà dei club che partecipano al campionato hanno investito di più di quello il cui presidente dice che “la sua società è stata tra le poche ad investire”. Davanti ai granata non solo le big, che hanno comprensibilmente più possibilità di spesa, ma anche club della nostra medesima dimensione: Genoa (25,5 milioni di euro spesi), Parma (44), Sassuolo (25). Ai livelli del Toro anche il Cagliari, con 17,5 milioni di euro investiti sul mercato. Anche volendo conteggiare le cifre per i riscatti di Gojak e Bonazzoli, il Toro non figurerebbe di certo tra le società che hanno investito di più, né tantomeno tra “le poche a investire”.


Focalizzandosi sul saldo totale, il Torino non risulta tra le società che più si sono “svenate” in questa anomala sessione di calciomercato iniziata in estate e conclusa in autunno: ben nove squadre, infatti, hanno chiuso con un saldo peggiore di quello granata: tra queste Benevento (-9,5), Cagliari (-16), Genoa (-22), Parma (-41), Sassuolo (-19,5). Insomma, da qualunque punto di vista la si guardi, il Toro NON è stato tra le poche società a investire.


E’ bene precisare, in ogni caso, che il mero investimento non è l’unico requisito per misurare l’ambizione di una società: è fondamentale anche sapere scegliere i propri investimenti, mettere mano al portafogli non è requisito sufficiente per crescere. Gli affari Niang e Verdi insegnano, così come, ribaltando il discorso, sono decine gli esempi di giocatori acquistati per pochi spiccioli e poi rivelatisi elementi di valore: da questo punto di vista l’esempio più virtuoso, negli ultimi anni, è quello dell’Atalanta, con i vari Gosens, Hateboer, Ilicic e compagnia. Ma siccome di mero investimento hanno parlato Cairo e Vagnati, di mero investimento in termini economici si parla in questa analisi.


Un altro indicatore utile per misurare le ambizioni di una società è senza dubbio il monte ingaggi: si possono scovare talenti semisconosciuti che all’inizio hanno poche pretese, è vero, ma presto o tardi i calciatori forti vanno pagati, e se non vengono pagati migrano, legittimamente, verso altri lidi. Investire per innalzare il tetto ingaggi è quindi addirittura prioritario rispetto agli sforzi economici che si fanno per i cartellini, è una condizione indispensabile per crescere davvero: di Belotti ce n’è uno solo, e anche lui, se le cose non dovessero cambiare a breve termine, potrebbe (anche lui più che legittimamente) cercare altrove un posto in cui soddisfare le sue ambizioni economiche e sportive.


All’inizio della stagione 2019-2020 il monte ingaggi del Toro era di 25,23 milioni di euro (cifra netta, fonte Gazzetta dello Sport), il settimo della Serie A. A distanza di 12 mesi, con le cessioni di gennaio e dell’ultima sessione di mercato, il monte ingaggi netto è diventato di 25,45 milioni di euro: è quanto emerge dai dati pubblicati dalla stessa Gazzetta sabato 10 ottobre (dai quali emerge un’incongruenza legata a Lyanco, a cui viene attribuito uno stipendio annuo di 600 mila euro: in realtà è superiore, ma ciò non sposta di molto gli equilibri dell’analisi). Un leggerissimo aumento che di certo non evidenzia una particolare volontà di investire incrementando questa voce di spesa (anche se questo dato, va detto, è da inserire in un contesto, quello legato all’emergenza sanitaria, in cui quasi tutte le società stanno cercando di contrarre i costi viste le mancate entrate generate dal lockdown e dalle successive restrizioni). Il monte salari del Toro è diventato l’ottavo del campionato, perdendo una posizione rispetto alla stagione 2019-2020 in questa speciale graduatori. Con l’aggravante, peraltro, che in quei 25,45 milioni rientrano ingaggi di giocatori decisamente poco utili alla causa per diversi motivi: dal milione e 700 mila euro di Izzo in giù, passando per gli stipendi dei vari Edera e Ferigra, tutti calciatori che sono rimasti in granata pur essendo ai margini del progetto tattico di Giampaolo. E qui si torna su un punto già toccato in precedenza: non basta investire, bisogna investire bene, mentre al Toro molte risorse sono spese decisamente male. Anche in questo caso l’Atalanta è l’esempio virtuoso: i bergamaschi, ad oggi sicuramente una delle tre-quattro migliori squadre del torneo, sono undicesimi a livello di spese per gli ingaggi.


Insomma, i numeri parlano chiaro, e per chiudere vale la pena di ribadire quanto già affermato in precedenza: no, il Toro non è stato tra le poche società a investire nell’ultima finestra di calciomercato, con buona pace di Cairo e della sua speranza che i tifosi prendano per vera una realtà che nel migliore dei casi esiste solo nella sua testa.



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