Quello che non perdono ad Andrea Belotti
- Andrea Dalmasso
- 2 lug 2022
- Tempo di lettura: 3 min

Premessa. Andrea Belotti non è un traditore. O almeno, non lo è per me. Ho imparato da tempo a considerare i calciatori della mia squadra come semplici professionisti legati al Toro da un contratto firmato e da nient’altro. Spettava a lui decidere se continuare o meno ad essere un calciatore del Torino, spetta a lui, ora, scegliere quella che riterrà la prosecuzione migliore per la sua carriera. Qualunque essa sia, questo non modificherà ciò che Belotti è stato per il Toro e per i suoi tifosi, in particolare quelli della mia generazione. E non voglio nemmeno perdermi in elucubrazioni sulle cause di un addio così strano, così anomalo nelle sue modalità, sulle responsabilità - sue e della società - che hanno portato a una separazione così fredda e silenziosa, per certi versi molto triste. Non lo farò, quantomeno non ora.
C’è solo una cosa che non perdono a Belotti. La sera dello scorso 20 maggio allo stadio Olimpico Grande Torino c’erano quasi 17 mila persone, la gran parte sponda granata. Solo per Torino-Milan, in questa stagione, gli spalti erano stati riempiti da più persone. Questo di certo non per l’importanza della partita, un’anonima e inutile (per il Toro) sfida di fine stagione, e nemmeno - o non solo - per salutare una squadra che in questo campionato a tratti ci ha fatto divertire. La sera di Torino-Roma il pubblico granata era tornato ad occupare in buon numero le tribune del “Grande Torino” perchè quella avrebbe potuto essere - e a questo punto sarà - l’ultima partita di Andrea Belotti con la maglia del Toro. La data era segnata sul calendario da mesi, c’era chi aveva fatto i salti mortali per esserci dopo l’anticipo dovuto all’impegno della Roma in Conference League, c’era chi aveva macinato centinaia di chilometri per essere lì quella sera. Erano in tanti, e ne conosco personalmente. “Può essere l’ultima del Gallo, non posso mancare”. Chiaro e semplice.
Persone che erano lì per esprimere solo ed esclusivamente gratitudine, senza alcun rancore per un eventuale addio. Perchè i tifosi del Toro - o gran parte di essi - hanno ormai imparato ad accettare certe separazioni, comprendendo che le ambizioni di un calciatore professionista non sempre coincidono con quelle che Urbano Cairo ha per la sua società. In tanti erano lì per prendere parte al tributo che 251 presenze e 113 gol con la maglia granata avrebbero meritato.
Un tributo che però non c’è stato. Belotti è stato sostituito da Pellegri al 68°, è uscito dal campo salutando come di consueto la curva: un saluto come ce ne sono stati tanti, senza particolare enfasi, senza far trasparire particolari emozioni. Immagini analoghe a fine partita. Un saluto sotto la curva e le tribune, per poi imboccare la via degli spogliatoi senza convenevoli speciali, senza dare ai tifosi l’occasione di fargli sentire ancora un po’ quell’amore che ha caratterizzato queste sue sette stagioni al Toro. Nessun saluto commosso, nessun congedo “ufficiale” da quello che per sette anni è stato il suo pubblico, un pubblico che in alcuni momenti si è aggrappato a lui come unico simbolo vivo in un granata che sembrava sbiadire sempre di più.
Quel saluto - atteso da tanti come un momento quasi intimo anche se tra più di 15 mila persone - non c’è stato. Rinviando a oltranza la sua decisione Andrea Belotti ha privato tantissimi tifosi che di un momento intenso, di un ultimo suo ricordo col granata addosso. Quei tifosi - e ripeto, erano tanti - che quella sera erano lì solo per lui. Ed è questo che non perdono a Belotti. Non l’addio, non spetta a me giudicare questa scelta, nemmeno se dovesse decidere di proseguire la sua carriera in Serie D. Non la decisione di lasciare a parametro zero, sono probabilmente questioni tra lui e il club. Non gli perdono l’aver tolto a tanti tifosi quel momento, quell’ultimo regalo, la sera dello scorso 20 maggio.
Tornando all’inizio, Belotti è un professionista e ha diritto di proseguire la sua carriera dove vuole senza essere giudicato o considerato un traditore. Ma 113 gol meritavano un congedo migliore. Un uomo che ha avuto l’onore di leggere i nomi dei caduti a Superga ogni 4 maggio doveva regalarci e regalarsi un addio migliore, a prescindere da come siano realmente andate le cose tra lui e la società. Quella sera, per farla breve, la decisione doveva già essere presa. A Belotti non perdono la sera del 20 maggio 2022. Non basterà un post di addio scritto da un social media manager e pubblicato sui social a sanare questa ferita.
Sono d'accordo..
Ma del resto Andrea Belotti è sempre stato così..
Poche parole...
E solo goal.. Quando ne faceva tanti..
Negli ultimi due anni ne ha fatti sempre meno..
Grazie Gallo!!!