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Quattro indizi fanno una prova

Quattro allenatori in un anno e mezzo: esiste davvero un profilo in grado di dare una scossa a questo gruppo di giocatori?

In principio fu Mazzarri, con quel suo calcio troppo prudente e quella sua fastidiosa tendenza a ricercare l’alibi quando le cose non andavano per il verso giusto. Poi venne il turno di Longo, troppo inesperto per districarsi in quella giungla che è l’ambiente Toro. E poi ancora fu la volta di Giampaolo, troppo rigido nella sua idea di gioco e non abbastanza grintoso, ritenuto da molti incapace, con quella sua espressione un po’ così, di trasmettere alla squadra la necessaria determinazione. Ora c’è Nicola, che per qualche settimana sembrava essere riuscito a salvarsi dal tritacarne. Prima la rimonta di Bergamo, poi la vittoria di Cagliari, infine l’altro ribaltone contro il Sassuolo. Sprazzi di Toro che a qualcuno erano sembrati sintomi di un cambio di rotta, di una squadra finalmente risvegliatasi dal torpore dell’ultimo anno e mezzo, malgrado le partite e le prestazioni contro Fiorentina, Genoa e Crotone fossero lì come campanelli d’allarme, a testimoniare quanto il cammino fosse ancora lungo e impervio. Nicola, dicevamo, forte anche del suo passato da calciatore col granata addosso, sembrava potersi salvare dal classico gioco dell’allenatore capro espiatorio per le difficoltà della squadra, sembrava poter dare quella svolta tanto attesa dall’ambiente. E invece no. La sconfitta contro la Samp a Marassi, insieme alle drammatiche notizie arrivate dall’Allianz Stadium, ha riportato bruscamente il Toro alla realtà dell’ultimo anno e mezzo e ha risucchiato nel vortice lo stesso allenatore.


Dopo il k.o. di Genova, infatti, anche per Nicola sono arrivate le prime critiche: qualcuno ha contestato le dichiarazioni post partita, qualcuno avrebbe gradito più turnover dopo il recupero infrasettimanale, altri non hanno condiviso i cambi a partita in corso. Ci sono volute nove partite, ma alla fine l’ambiente - o parte di esso - è ricaduto nella stessa vecchia trappola: puntare il dito contro l’allenatore. Qualcuno ha già sentenziato che Nicola non è l’uomo giusto per il Toro, senza rendersi conto che l’uomo giusto per questo Toro semplicemente non esiste. Intendiamoci: nessun tecnico, e quindi nemmeno Nicola, gode dell’immunità alle critiche, ma dopo quest’anno e mezzo di sconforto tendente alla depressione forse l’analisi del mondo granata dovrebbe fare un passo oltre. Siamo di fronte ad un gruppo, quello dei calciatori del Toro, che da diciotto mesi, salvo rare eccezioni, si sta esprimendo su livelli di rendimento ampiamente insufficienti, per non dire proprio imbarazzanti. Lo ha fatto prima con Mazzarri, poi con Longo, poi con Giampaolo e ora con Nicola. Si dice che servano tre indizi per fare una prova, in questo caso ne abbiamo addirittura quattro: se quattro allenatori su quattro non sono riusciti a risvegliare questa squadra dal buco nero in cui è precipitata, allora l’eventualità che il problema principale non stia nel manico diventa ben più di una semplice ipotesi. Ogni tanto qualche avvocato difensore dei calciatori del Torino prova a riesumare l’annata dei 63 punti con Mazzarri per dire che sì, questa rosa vale di più, ma arrivati a questo punto è evidente che quella stagione fu una piacevole eccezione, non la regola.


L’allenatore è chiamato a fare delle scelte, e chi fa scelte è criticabile per definizione, ma si tratta di una pagliuzza mentre nell’occhio del Toro c’è una trave gigante: un gruppo di giocatori che non funziona, e di conseguenza una società, quella che quel gruppo lo ha costruito, che ha sbagliato quasi tutto lo sbagliabile. Sui motivi del malfunzionamento non ci è dato sapere la verità fino in fondo: limiti oggettivi dei calciatori? Rosa male assortita? Scarso impegno? Elementi rimasti a Torino controvoglia? Ognuno può giudicare ciò che vede e scegliere la versione che più lo convince, non è questo il punto. Il punto, per riallacciarsi a quanto detto qualche riga più in alto, è che credere ancora che esista un allenatore in grado di dare una scossa a questo gruppo è esercizio quantomeno ingenuo.


Nessuno tocchi Nicola, quindi. Tutti ci auguriamo che riesca nell’impresa di salvare questo gruppo allo sbando che da ormai 18 mesi va completamente alla deriva, ma se non dovesse farcela non sarà contro di lui che andrà puntato il dito. Sarà solo un altro onesto professionista sacrificato sull’altare di questo torello sgangherato, come tanti prima di lui.

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